Gennaio 2021 non è un mese ricco di uscite, ma ci sono comunque alcuni titoli interessanti da scoprire. Ecco le uscite da non perdere sul catalogo di Netflix, Prime Video e Disney+:
Netflix
Lupin – Parte 1
Cobra Kai – Stagione 3
Brooklyn Nine-Nine – Stagione 6
Disincanto – Stagione 3
Dawson’s Creek – Stagioni 1-6
Fate: The Winx Saga – Stagione 1
50m2 – Stagione 1
Prime Video
Anime: Goblin Slayer! – Stagione 1
Anime: Inuyasha – Stagione 5-7
Made in Abyss – Stagione 1
Supernatural – Stagione 13
American Gods – Stagione 3 (uscite settimanali)
Law & Order: SVU – Stagioni 11, 12 e 13
Mr. Robot – Stagione 4
James May: Oh Cook!
South Park – Stagione 23
Star Trek: Lower Decks – Stagione 1
Disney+
Onward – Oltre la magia
Altrimenti ci arrabbiamo!
Lo chamavano Trinità e Continuavano a chiamarlo Trinità
Malcolm in the Middle è una delle comedy che ha segnato l’infanzia e l’adolescenza di molti di noi. La serie, iniziata nel 2000 e durata per 7 stagioni, vedeva protagonista una famiglia stravagante, formata dal padre Hal (Bryan Cranston), la madre Lois e i loro figli: Francis, Reese, Dewie, Malcolm e più avanti Jamie.
Nel 2019 si è tornato a speculare su un possibile sequel, dopo quasi un ventennio dall’uscita della serie. Ma che cosa ne pensano gli attori di tornare a vestire i panni della famiglia Wilkerson? Prima di parlare della loro posizione in merito al sequel, voglio citare una mini reunion avvenuta dopo il finale di Breaking Bad, serie che ha visto protagonista Bryan Cranston e durata per cinque stagioni.
Con l’uscita del DVD di Breaking Bad, Cranston ha potuto veder realizzata una delle sue idee, che è stata apprezzata tantissimo dai fan di entrambe le serie citate. Cranston e da Jane Kaczmarek hanno girato un finale alternativo, nel quale hanno ripreso per pochi minuti i panni di Hal e Lois. Nel finale alternativo Hal si risveglia all’improvviso da un incubo e, girandosi verso la consorte, le racconta di aver sognato di essere un trafficante di droga, per l’appunto Walter White.
Dove sono ora gli attori di Malcolm?
Cranston si è sempre detto entusiasta sulla possibilità di riprendere il ruolo di Hal, ma che cosa ne pensano gli altri attori? Alcuni dei protagonisti di Malcolm hanno abbandonato la carriera cinematografica/televisiva per dedicarsi ad altri ambiti lavorativi. Frankie Muniz (Malcolm), dopo una carriera come pilota automobilistico, è tornato in tv qualche anno fa per partecipare come ballerino a Dancing with the stars. L’attore sembra quindi non aver davvero chiuso con la televisione. L’anno scorso inoltre un suo tweet ha fatto impazzire i fan. Il messaggio recitava: “All these reboots of dumb ass TV shows, yet we still have no idea what Malcolm is up to.” (Tutti questi reboot televisivi di serie tv stupide e ancora non abbiamo idea di dove sia Malcolm).
In occasione dei 20 anni dall’uscita di Malcolm, il cast si è riunito su Zoom per un evento esclusivo per raccogliere fondi, durante il quale gli attori hanno letto la sceneggiatura della prima puntata. Purtroppo non sono riuscita a trovare nessuna documentazione audiovisiva dell’evento, ad eccezione di questo scatto da Elexpres.
Voglio anche ricordare che, sempre Cranston, nel 2016 ha rivelato che si era parlato della possibilità di un film sequel, ma non si è mai andati oltre le chiacchiere. La volontà, soprattutto da parte di Cranston, c’è, così come l’entusiasmo e l’affetto dei fan. Malcolm dopotutto non sarebbe la prima serie a tornare dopo anni.
Al momento quindi non si hanno notizie circa un sequel, che comunque non è da escludersi per il futuro. E a voi piacerebbe venisse realizzato? Vi aspetto nei commenti!
Buonasera lettori! Ieri è uscita su Netflix la seconda stagione di After Life. Se dovete ancora recuperare la prima, trovate la mia recensione qui.
Tony non è ancora pronto ad andare avanti, non riesce a smettere di guardare i video della sua amata Lisa, a rimpiangere le vita che aveva con lei. Lisa era l’unica cosa speciale che aveva in una vita ordinaria e ora che se ne è andata sente di non avere più nulla. Ma Tony ha ancora il lavoro nel giornale locale, uno strano assortimento di amici e un padre malato di Alzheimer. E poi c’è lei, Emma, che lavora come infermiera nel ricovero dove vive il padre, ma con la quale non è ancora pronto ad andare oltre una semplice amicizia. Tra la stesura di un pezzo per il giornale e l’altro, Tony incontra una serie di personaggi eccentrici nella cittadina in cui vive, dalla centenaria che non vede l’ora di morire, al cinquantenne che crede di essere una bambina di otto anni.
Dopo qualche giorno di assenza per questioni lavorative, voglio parlarvi di una miniserie Netflix che mi è stata consigliata da diverse persone: Unorthodox. La serie è tratta dall’autobiografia di Deborah Feldman, Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots, uscita nel 2012.
[L’articolo NON contiene spoiler]
La trama
Esty ha diciannove anni e vive in una comunità ebrea ortodossa-chassidica a Williamsburg (New York), insieme al marito Yanky, sposato un anno prima. Ad Esty le rigide regole della comunità stanno strette, vorrebbe dedicarsi alla sua passione per la musica, ma la sua religione non permette alle donne di cantare o suonare uno strumento e così Esty rinuncia alla propria vocazione.
Dopo essersi impegnata per un anno ad essere “una buona moglie”, Esty decide di fuggire a Berlino, dove vive la madre che l’ha abbandonata parecchi anni prima. Senza una casa e con pochissimi risparmi, Esty si rifugia in un conservatorio in città. Per la comunità chassidica, la fuga della ragazza sarebbe un grande scandalo; Yanky e il cugino Moishe seguono quindi Esty in Europa, con l’intenzione di riportarla a casa.
La mia opinione
Prima di iniziare la visione di questa miniserie, non conoscevo quasi nulla sulla comunità ebrea chassidica. Non conoscevo le loro tradizioni, il ruolo della donna in società e neppure che avessero una propria lingua chiamata Yiddish (un misto tra inglese e tedesco). Sono rimasta stupita dal modo in cui è stata ritratta la comunità chassidica. La serie non cerca di mostrarla con un’accezione negativa, ma racconta la vita dei personaggi il più fedelmente possibile alla realtà e lascia allo spettatore il ruolo di farsi una propria idea. Ciò è stato possibile grazie a delle profonde ricerche, che hanno coinvolto tutti i settori della produzione, dai costumi fino alla lingua, che hanno visto la partecipazione di un esperto in Yiddish. Gli autori hanno definito la serie quasi come un prodotto storico, ambientato però ai giorni nostri. La storia è infatti collocata in gran parte in un quartiere newyorkese, nel quale le tradizioni religiose ebree conservatrici si scontrano con la modernità della società americana. Più di tutti è stato il ruolo della donna all’interno della comunità a colpirmi e, non lo nego, a farmi commuovere. Mi chiedo come, nel 2020, ci possano ancora essere così tante donne a non avere una voce, a non poter decidere il proprio futuro e ad essere costrette a sottostare al volere del “capo famiglia”.
All’inizio della serie Esty ha già deciso di ribellarsi alla vita nella comunità, inseguendo il proprio sogno di musicista in Germania. Assistiamo all’evoluzione della donna, che poco alla volta scopre la vera se stessa, soffocata in passato da un matrimonio imposto. A questo si alternano numerosi flashback, che ci mostrano la vita della protagonista dall’infanzia, all’età adulta. Il ruolo è interpretato da Shira Haas, attrice israeliana dalle incredibili doti espressive. Un altro personaggio che mi ha colpita molto è stato quello di Yanky, il marito di Esty. Credo che l’attore stesso, in un’intervista backstage, lo abbia descritto alla perfezione: “He just has one truth and this is the one truth he knows” (Ha soltanto una verità e questa è la verità verità che conosce). Se da una parte alcuni dei personaggi maschili risultino negativi (sebbene non vengano mai dipinti come tali di proposito), Yanky è un uomo buono che non conosce nessun’altra realtà al di fuori di quella che ha sempre vissuto. Le decisioni che prende, almeno all’inizio, non sono mai sue, ma sono sempre dettate dalla famiglia dell’uomo o dalla religione in cui è cresciuto. Difficile non chiedersi chi sarebbe potuto essere in circostanze diverse…
Se dovessi trovare una nota negativa, direi che avrei preferito una puntata in più. La storia ci viene infatti raccontata in quattro puntate da 50 minuti, sufficienti per coprire i flashback, ma scarse per la parte ambientata a Berlino. A mio parere il finale è ben fatto, anche se lascia qualche domanda aperta.
Non voglio dilungarmi troppo sulla trama o entrare nei dettagli della religione chassidica, perché vi consiglio di scoprire questa realtà guardando direttamente la serie. Ho comunque intenzione di approfondire l’argomento con il documentario Netflix One of us, consigliato da Beatrice di The Password.
Unorthodox è una serie commovente, curata nei dettagli e con interpretazioni degne di nota. A mio parere una delle migliori ultime uscite su Netflix.
Friends è una delle poche serie che non mi stanco mai di rivedere, neppure se conosco le battute e la trama a memoria. Ho sempre amato tutti i protagonisti, perciò sono rimasta stupita dall’apprendere che il personaggio di Ross è in realtà detestato da molti fan della serie. Non è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto, ma penso abbia comunque delle qualità innegabili ed è stato interpretato magnificamente da David Schwimmer. In questo post ho deciso di focalizzarmi su di lui, sottolineando i suoi punti di forza e trascorsi nella serie.
Èun ottimo amico
Se riflettiamo sulle amicizie nella serie, probabilmente le prime “coppie” a cui pensiamo sono quelle formate da Joey e Chandler o da Monica e Rachel. In realtà Ross è un amico fedele e lo ha dimostrato più volte nel corso della serie. Ricordate quando ha acquistato una bicicletta per Phoebe o ha baciato Joey per aiutarlo in un’audizione?
Èappassionato
Nel corso della serie gli amici hanno difficoltà a “sbarcare il lunario” e intraprendere la carriera dei propri sogni. Ross, invece, fa esattamente ciò che ama di più: il paleontologo. I suoi amici lo prendono spesso in giro per questo, ma Ross non rinuncia mai a citare fossili e dinosauri e finisce spesso per discutere animatamente su argomenti che gli stanno a cuore (soprattutto con Phoebe!). Chi non vorrebbe avere un lavoro così?
È un eterno romantico
Con tre divorzi alle spalle, Ross è il personaggio che più di tutti fatica a trovare una relazione stabile e serena. Ross è ossessionato dall’amore, ma finisce sistematicamente per rovinare le proprie relazioni e tornare dal suo primo amore: Rachel. Ross non è affatto perfetto, è geloso, ossessivo e ha rovinato la storia con la donna che ha amato più di tutte. Nonostante venga preso in giro per i suoi tre divorzi, Ross non desidera altro che essere davvero felice e poter avere un lieto fine come quello tra Monica e Chandler.
Èun ottimo fratello
I litigi tra Ross e Monica ricorrono spesso nello show, ma i due fratelli non potrebbero essere più uniti. Ross si schiera sempre dalla parte della sorella, soprattutto quando i genitori preferiscono lui a Monica. Ross è gentile e premuroso e, anche se non viene preso sul serio, è disposto a proteggere la sorella ad ogni costo, come quando ha “fatto il discorso da fratello maggiore a Chandler”.
Èprotettivo
Anche quando la relazione tra Rachel e Ross è finita, lui non smette mai di essere protettivo nei suoi confronti. Nell’episodio in cui Rachel si fa male alla schiena, Ross rinuncia a un evento importantissimo della sua carriera per stare con lei, e quando tutti i suoi amici sono in montagna e rimangono fuori dalla macchina, Ross corre in loro aiuto, anche se non è stato invitato alla gita. Ross mette da parte persino il suo odio per Susan e accompagna Carol all’altare perché, in fin dei conti, anche se è ferito dalla fine del loro matrimonio, vuole soltanto vederla felice.
Èespressivo
Senza David Schwimmer, Ross sarebbe stato molto diverso. La sceneggiatura non sarà “farina del suo sacco”, ma l’attore ha arricchito Ross con una serie di espressioni che rimarranno nella storia dello show. Ross non è un personaggio creato per essere sarcastico di proposito come Chandler, ma la sua voce e le espressioni dell’attore hanno dato vita a una lunga serie di scene esilaranti.
E a voi piace Ross? Vi piacerebbe leggere un focus sul resto dei personaggi? Vi aspetto nei commenti!
Julian Fellowes, creatore di Downton Abbey, è tornato con una nuova serie storica a tema calcistico: The English Game.
Nell’Inghilterra di fine ottocento, una squadra locale di calcio, formata da operai di una fabbrica di cotone, riesce ad arrivare ai quarti di finale della FA Cup con l’aiuto di due calciatori scozzesi. La squadra, il Darwen, deve affrontare la Old Etonians, un team formato dalla borghesia londinese. Oltre a concorrere per la coppa, gli abitanti di Darwen devono affrontare le difficoltà di una piccola cittadina industriale, tra diminuzioni del salario e scioperi.
Premetto di non essere affatto appassionata di calcio, ma ho voluto iniziare la serie per l’ambientazione storica e l’impronta di Julian Fellowes. Essere appassionati dello sport non è fondamentale per apprezzare questa serie, ma di certo aiuta a comprendere meglio la passione che muove i protagonisti. La serie si focalizza sulla vera storia dei calciatori Fergus Suter e Arthur Kinnaird, che hanno fatto la storia del calcio inglese e hanno creato le fondamenta di uno sport che oggi è seguito in tutto il mondo.
I personaggi principali sono ben raffigurati, ma non sono solo loro a spiccare. Anche le controparti femminili hanno una propria storyline e sono costrette ad affrontare gli svantaggi e le ingiustizie dell’epoca, in una realtà dominata dal maschilismo. Non è nulla di nuovo, certo, ma ho apprezzato che gli scrittori non si siano focalizzati solo sui membri delle squadre calcistiche.
La serie mostra i progressi e il successo del calcio, che è passato dall’essere uno sport dove il compenso economico dei giocatori era vietato, a diventare uno dei settori economici più potenti del mondo. Mi ha colpito che The English Game abbia ricevuto alcune recensioni poco favorevoli, perché a mio parere è ben fatta e interessante da seguire anche per i non appassionati.
Buonasera cari lettori! Oggi voglio parlarvi di una serie uscita di recente su Netflix: Lettera al Re, basata su un romanzo della scrittrice olandese Tonke Dragt.
Trama
Tiuri, un giovane aspirante cavaliere di sedici anni, nonostante non abbia grandi doti fisiche, riesce ad arrivare al novizio, che gli permetterà di diventare cavaliere a tutti gli effetti. Durante l’ultima prova assiste all’uccisione di un cavaliere nero, che in punto di morte gli consegna una lettera urgente per il Re di Unauwen. Tiuri deve affrontare un pericoloso viaggio prima che sia troppo tardi, in compagnia di una truffatrice e seguito dai suoi compagni cavalieri…
La mia opinione
Lettera al re si pone come un fantasy abbastanza classico: un eroe e un gruppo di amici in viaggio; una profezia che incombe sul protagonista e un antagonista che minaccia di conquistare il mondo distruggendo ogni cosa. È anche il caso di questa serie tv, che in sei puntate non riesce a mostrare nulla di innovativo, ma riesce tutto sommato a intrattenere lo spettatore. La prima metà scorre più lentamente, per poi racchiudere gli eventi salienti nell’ultimo episodio. Avrei preferito un maggiore approfondimento sul finale, ma negli ultimi tempi Netflix sembra preferire la modalità di presentare una prima stagione breve, nell’eventualità di una cancellazione. A mio parere aggiungere qualche puntata in più avrebbe potuto giovare alla serie e permetterle di approfondire alcuni aspetti un po’ trascurati, come l’aspetto magico della storia o lo scopo dell’antagonista. Lettera al Re riesce comunque a cavarsela con un paio di colpi di scena ben assestati, che riescono a velocizzare la trama proprio quando sembrava essersi arenata.
Nonostante le location mozzafiato (lo show è stato girato in Nuova Zelanda e a Praga), le immagini si scontrano con alcuni effetti speciali non eccelsi. In generale la trama è dimenticabile e i personaggi non sono nulla di eclatante, ma rimane comunque uno show piacevole da guardare. È adatto anche agli adulti, ma penso potrebbe essere più apprezzato dalla fascia pre adolescenziale – adolescenziale.
Buongiorno lettori, finalmente dal 24 marzo anche in Italia è arrivato il nuovo servizio streaming Disney+, dedicato a tutti i brand del marchio Disney. Il servizio è disponibile al prezzo di 6,99€ al mese o 69,99€ all’anno, con una settimana di prova gratuita. Oltre ai classici Disney, ai film Marvel, Star Wars e Pixar, trovate contenuti originali, come The Mandalorian, High School Musical – la serie e Togo.
Disney+ è fruibile da computer, smart tv, tablet e smartphone. L’applicazione dello streaming è molto dinamica e l’interfaccia ricorda la concorrente Netflix. Nella homepage i contenuti sono divisi in differenti categorie, come “I raccomandati”; “Originali”; “Campioni di incasso” e tante altre. L’app tiene inoltre conto dei film o serie già viste per consigliarne alcune simili. Anche su Disney+ è possibile scegliere tra una buona varietà di lingue per audio e sottotitoli. A differenza di Netflix ho però notato che uscendo dall’applicazione, ma mantenendola comunque aperta in secondo piano, questa non viene ridotta a finestra. Spero che questa funzione venga introdotta presto, perché è molto comoda per chi si connette da cellulare e magari vuole al tempo stesso leggere un messaggio senza dover necessariamente interrompere il video.
Anche questo servizio streaming offre la possibilità di scaricare contenuti e guardarli offline. Un’opzione che invece non ho trovato è quella di consultare la propria “viewing activity”, ovvero la lista di contenuti già visti, con data e orario;funzione invece disponibile su Netflix.
Passiamo ora alla questione che interesserà alla maggior parte di voi: i contenuti. Devo essere sincera, dal lancio di un marchio così prestigioso mi sarei aspettata molti più nuovi contenuti originali. Al momento sono disponibili appena 5 film e 13 serie televisive originali, diversi dei quali sono orientati verso un pubblico adolescenziale. Il resto del catalogo è ricco di film già visti e conosciuti. Ho usufruito della settimana gratuita e non ho intenzione di acquistare un abbonamento per il momento, perché non saprei proprio che cosa guardare. Se avete figli o siete fan sfegatati della Disney, questo servizio streaming potrebbe fare al caso vostro, ma per tutti gli altri, al momento il catalogo è troppo scarno per essere messo a confronto con le concorrenti Netflix e Prime Video. Confido comunque che Disney+ possa ampliare presto il proprio catalogo con contenuti originali, come ha fatto in passato Prime Video. Non mi sento quindi di bocciare la piattaforma, ma di rimandarla a quando avrà contenuti più ricchi. Più tardi quest’anno, ritardi a causa del Corona Virus permettendo, sono previste diverse serie televisive, come alcune Marvel molto interessanti.
E voi avete provato Disney+? Vi aspetto nei commenti!
Buonasera lettori! Oggi voglio parlarvi di una nuova serie televisiva, approdata a fine febbraio su Netflix. Sto parlando di I Am not okay with this, uscita con una prima stagione di 7 episodi.
La protagonista è Syd, una diciassettenne che vive con la madre e il fratellino dopo la morte del padre, suicidatosi qualche anno prima. Dopo l’evento, il rapporto tra Syd e la madre si è incrinato sempre di più.
Syd non deve solo affrontare le difficoltà di un’adolescente come il primo approccio al sesso e la scuola, ma scopre anche di avere un potere soprannaturale, che si manifesta quando prova delle emozioni molto forti. Spalleggiata dal proprio vicino Stanley, Sydney cerca di capire che cosa sta accadendo e come controllare il suo nuovo potere.
Ancora una volta Netflix si cimenta nelle atmosfere pseudo anni ottanta di una piccola cittadina di provincia americana, portando sullo schermo una nuova storia di adolescenti.
I Am not okay with this sta ricevendo ottime recensioni dalla critica, ma devo essere sincera, a me non ha fatto impazzire. Penso che il problema principale sia la durata degli episodi, di appena venti minuti. In un lasso di tempo così breve la serie non ha il tempo di mostrare il suo potenziale, e riesce a colpire lo spettatore soltanto nell’ultimo episodio. Il resto della narrazione è infatti molto lenta, nonostante la brevità degli episodi.
Gli attori sono molti credibili nei rispettivi ruoli, soprattutto Sophia Lillis nei panni della protagonista. Questa prima stagione lascia spazio solo in minima parte ai poteri di Syd, che fungono più che altro da pretesto per presentarci i personaggi.
La stagione si conclude con un cliffhanger che promette una possibile seconda stagione molto più scoppiettante. Come già detto, penso che la serie abbia del potenziale e mi auguro che gli autori sappiano sviluppare la trama al meglio. I Am not okay with this nasce presumibilmente come una serie che si svilupperà con il tempo, perciò è difficile dare un giudizio definitivo.
Non voglio bocciarla o promuoverla, quindi mi riservo di rimandarla alla seconda stagione.
Oggi voglio parlarvi di una delle serie originali del servizio streaming gratuito Facebook Watch (di cui vi ho parlato qui). Si tratta di Sorry for your loss, uscita con due stagioni. Purtroppo la serie non tornerà per una terza stagione.
~ Trama
Sono passati tre mesi dalla morte del marito e Leigh non riesce a superare il lutto che ha devastato lei e la sua famiglia. È tornata a vivere con la madre, per la quale lavora, e la sorella, in ricovero dall’abuso di alcool e droghe.
Mentre è costretta a fare i conti con la rabbia che la mette alla prova in continuazione, Leigh scopre alcune verità sulla vita del marito…
~ Che cosa ne penso
Era da un po’ di tempo che volevo iniziare questa serie e finalmente mi sono decisa a farlo quando Sorry for your loss mi è capitata tra i video suggeriti di Facebook.
Sapevo che la serie aveva come tema centrale il lutto, ma non mi aspettavo che includesse altre tematiche difficili come la droga e la depressione.
Sorry for your loss non si focalizza infatti solo sulla perdita di Leigh, ma esplora le vite delle persone vicino a lei, compreso il marito deceduto, Matt. Lo spettatore assiste alla vita dell’uomo attraverso numerosi flashback, che provengono da due punti di vista diversi. Quello di Leigh e quello di Matt.
Quando la narrazione si sposta sul punto di vista di Matt, i flashback abbandonano l’aura nostalgica dei ricordi di Leigh, e scopriamo un altro lato di Matt; un uomo consumato dalla depressione, che lotta per stare a galla.
Entrambi gli attori che interpretano i coniugi hanno fatto un ottimo lavoro, riuscendo a portare sullo schermo il dolore e la disperazione dei personaggi.
Sorry for your loss è una storia incredibilmente reale, perché riesce a mostrare il vero lato della depressione, con la difficoltà a comunicare il proprio stato d’animo alle persone vicino e la solitudine che ne concerne. Mette in luce anche le difficoltà dei rapporti di coppia, tra incomprensioni, comunicazione e segreti.
I rapporti familiari giocano inoltre un ruolo importante. Non è solo Leigh ad essere colpita dal lutto, ma anche la madre e la sorella soffrono per la scomparsa di Matt e al tempo stesso cercano di essere forti per Leigh.
È una serie dalla scrittura curata, con intepretazioni solide, soprattutto Elizabeth Olsen che offre una prova molto convincente.
La prima stagione di Sorry for you loss è formata da 10 puntate della durata di 30 minuti circa ciascuna.