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Le convergenze dei microcosmi paralleli: intervista all’autrice

Buon primo maggio cari lettori! Come state?
Oggi voglio parlarvi di un libro che vi ho segnalato qualche tempo fa, Le convergenze dei microcosmi paralleli.
Per l’occasione ho intervistato l’autrice Elena Nittoli, che mi ha svelato alcune curiosità sul suo libro.

Ciao Elena, presentati ai lettori che ancora non ti conoscono. Chi sei e che cosa fai nella vita? 

Sono un avvocato. Prima ero un difensore tipo Anna, la protagonista del mio romanzo. Ora invece svolgo l’incarico di vice procuratore onorario e quindi le funzioni di pubblico ministero in aula, come avvocato dell’accusa. Un po’ alla «Law and Order» (almeno, così mi piace pensare). 

Le convergenze dei microcosmi paralleli è il tuo nuovo libro edito Ciesse edizioni. Com’è nato il romanzo e di che cosa parla?

È la mia opera prima. Nasce dalla voglia di raccontare un tema vecchio in modo nuovo. 

Il libro racconta le esperienze di un avvocato in modo difforme dai canoni del romanzo di genere: il personaggio principale è assai lontano dalla figura del «poliziotto mancato» sempre alla ricerca di un assassino nell’intento di scagionare il suo cliente che, come al solito, è innocente. 

La mia Anna conosce le implicazioni reali derivanti dall’indossare una toga al giorno d’oggi, ancor più se si è donne come lei, e in un momento di crisi economica e sociale come quella attuale. Il suo mondo esprime un vissuto quotidiano, parla di esperienze di gente comune, di professionisti alle prese con le vere dinamiche di un tribunale. 
Anna è una ragazza come tante, è giovane e inesperta e ha problemi normali, come aspettare la telefonata dal tizio con cui è appena uscita o incassare la parcella dai clienti, far quadrare i conti per concedersi qualche griffe troppo costosa e rendersi però anche credibile con la sua preparazione agli occhi di giudici e colleghi. E ha lo stesso una vita professionale interessante, che la pone in contatto con tante varianti del genere umano, nel vivo di vicende intime e personali e di esperienze toccanti.

Ho sdoganato perciò la sua storia dalle false premesse di certi stereotipi perché penso che possa rivestire una sua dignità letteraria autonoma e meriti di essere raccontata senza infingimenti. 

Quanto c’è della tua esperienza lavorativa e umana nelle pagine del libro?

Il libro nasce proprio dalla voglia di raccontare una parte della mia vita e i rapporti con le persone che in quel periodo mi hanno accompagnato nel mio percorso; nasce dall’esigenza di analizzare, attraverso un’introspezione narrativa, l’impatto e l’incidenza che quelle esperienze hanno avuto nel mio processo di maturazione come persona e come professionista. 

Pensi ci sia una percezione sbagliata (pregiudizi, ignoranza…) nei confronti del tuo ambito lavorativo?

Come pubblico ministero d’udienza non avverto oggi un pregiudizio come quello che avvertivo invece, prima, da difensore. Magari perché ora svolgo una funzione pubblica e questo, forse, mi salvaguarda un po’ ma, soprattutto, perché mi sento libera dai condizionamenti dell’essere comunque una parte processuale. 

Un difensore, invece, è più vincolato in questo aspetto. E, in effetti, mi è capitato in passato di scontrarmi con il pregiudizio per il fatto stesso di rappresentare persone non sempre innocenti. Sono, in fondo, i preconcetti insiti nei cliché di cui parlavo prima: sembra quasi che un avvocato non possa difendere i colpevoli per meritare di essere un protagonista positivo, nella vita come in un romanzo. Ecco, perciò, da cosa potrebbe nascere l’esigenza di redenzione letteraria che spesso altera l’identità effettiva del personaggio- avvocato in un libro: dal preconcetto. 

Facciamo un gioco: prova a descrivere tre personaggi del tuo libro con tre aggettivi ciascuno!

Scelgo il nucleo «familiare» della storia e, quindi, 

  1. Anna: decisa, scontrosa e ironica. 
  2. Emma: curiosa, intuitiva e accomodante. 
  3. Carla: egoista, invadente e attaccabrighe. 

Al momento stai lavorando a qualche progetto futuro? Se sì, di che cosa si tratta?

Sto lavorando al secondo romanzo della serie. L’idea nasce già in sé con una connotazione seriale, perché la storia è quella di un percorso di vita e di maturazione della protagonista attraverso le sue esperienze umane e professionali nel corso di alcuni anni. 

Quindi preparatevi già alle nuove storie di Anna, alle prese con le difficoltà lavorative e con quelle ambientali nella convivenza con le due amiche; ma anche a tanti nuovi colpi di scena e processi traumatici di rottura nella sua vita. Grazie ai quali si compirà forse quel processo di crescita indispensabile per diventare una donna adulta. 

Stiamo vivendo un momento difficile, che rimarrà nella storia, non solo del nostro paese ma di tutto il mondo. Come stai vivendo questo periodo? Ti stai dedicando alla scrittura o trovi difficile focalizzarti sulle tue passioni?

Lo sto vivendo come un’opportunità, pur nelle difficoltà derivanti dalla paura nel presente e dall’incertezza sul futuro, nonostante il carico di dolore che ci circonda e la preoccupazione che ci attanaglia ogni giorno (talvolta anche di notte, purtroppo). 

Riesco comunque a cogliere un’opportunità in tutto questo. Per vivere in pace i momenti di intimità con i miei pensieri, con le mie passioni troppo spesso trascurate. Per imparare a gestire la mia giornata riassaporando il piacere di ciò che più mi piace, reinventando il mio tempo. Un’occasione di riflessione sul ribaltamento dell’ordine di priorità e di necessità che finora ci ha così condizionato. 

Quindi sì, lo sto vivendo anche, e soprattutto, come un momento per dedicarmi alla principale delle mie passioni: scrivere. Il secondo romanzo di Anna ha preso vita proprio in questi strani giorni che noi ricorderemo per sempre. 


[L’intervista uscirà anche sulla rivista online Viaggi fra le pagine. Il terzo numero sarà disponibile gratuitamente il 3 maggio in una nuove veste grafica.]

Questo mese il numero della nostra rivista parla dell’importanza della libertà di stampa e di come questa abbia influenzato la cultura. In uno degli articoli si è parlato della necessità di portare, soprattutto online, più contenuti di qualità. Pensi che questa affermazione sia applicabile anche ai libri o ritieni che l’editoria dovrebbe essere aperta a tutti? (Ad esempio con il self publishing)

La qualità rappresenta a mio giudizio un parametro imprescindibile in ogni ambito e senza alcun filtro selettivo non esiste un criterio premiale che tuteli il valore. D’altra parte, però, mi chiedo se gli attuali parametri che ci vengono imposti dalla società corrispondano a criteri selettivi davvero meritocratici: veniamo ogni giorno selezionati e valutati per accedere a un lavoro o per esprimere in mille altri modi il nostro talento, ma sempre secondo i criteri dettati dall’establishment. Sono sul serio dei parametri validi? 

Venendo nello specifico al mondo dell’editoria, mi sembra che non ci sia in giro tanta voglia di setacciare nuovi talenti, di scoprirli, di coltivarli. Spesso le scelte di tante case editrici importanti sembrano improntate a criteri commerciali, piuttosto che a parametri artistici e innovativi. 

Per quanto mi riguarda, so di avere potuto cogliere una grande chance dalla Ciesse Edizioni che ha creduto in me, dandomi – oltre che il modo di presentarmi al pubblico – la possibilità di crescere, di affinarmi in un percorso mirato per presentare un progetto che esprimesse non solo il mio messaggio artistico ma che rispettasse anche, in modo imprescindibile, degli standard di qualità. 

Al di fuori di queste realtà, però, mi sembra non esistano molte altre strade accessibili ai talenti ancora inespressi. Ecco perché la self publishing, allora, non sarà magari la risposta giusta, ma di certo è la domanda. Quella per cui l’editoria tradizionale e mastodontica dovrebbe forse interrogarsi meglio sulle proprie responsabilità. 

Potete acquistare il libro qui.

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